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Il podcast del diacono Davide Moreno

Il podcast del diacono Davide Moreno

By: Davide
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Il Vangelo della domenica commentato: riflessioni e approfondimenti spirituali di un diacono permanente della diocesi di Bologna. Ogni settimana un nuovo episodio per nutrire la fede e scoprire insieme come la Parola di Dio illumina la nostra vita quotidiana. Un invito ad ascoltare, meditare e camminare insieme nel percorso di fede, riscoprendo la bellezza e la saggezza del messaggio evangelico.si Christianity Spirituality
Episodes
  • OMELIA DELLA XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
    Jul 13 2025
    “Chi è il mio prossimo?”
    È questa la domanda che introduce il Vangelo di questa domenica (Lc 10,25-37). Ma attenzione: non è una domanda innocente. È la domanda di un dottore della Legge che vuole mettere alla prova Gesù, cercando di circoscrivere, delimitare, ridurre l’ampiezza dell’amore evangelico a una misura che sia sopportabile, gestibile, rassicurante.Gesù non risponde direttamente. Come spesso accade, scardina la logica della domanda con una parabola che disarma, capovolge e converte: quella del buon Samaritano.Un racconto che conosciamo a memoria – tanto da rischiare di non ascoltarlo più davvero – e che oggi, invece, si riapre con forza interrogante. Perché non è semplicemente un invito a essere “bravi e buoni”, ma una provocazione radicale: da che parte sto io?
    Nel Vangelo, il Samaritano non si interroga su chi meriti il suo aiuto. Semplicemente, si ferma, vede, si commuove, tocca, cura. Si fa prossimo. E proprio in questo verbo – farsi prossimo – è racchiuso il cuore teologico del testo.L’“essere prossimo” non è una categoria geografica, ma esistenziale.Non si tratta di chi ci è vicino per legami di sangue, affinità o vicinanza fisica, ma di chi si lascia toccare dalla sofferenza dell’altro. Chi rompe il recinto della propria sicurezza e si rende vulnerabile per l’altro. È un gesto che ci rimanda, in filigrana, al mistero stesso dell’Incarnazione: Dio non ha salvato l’umanità da lontano, ma facendosi prossimo, entrando nel dolore, toccandolo con mani umane.Nel comportamento del Samaritano possiamo intravedere una cristologia implicita: egli è figura di Cristo, che si china sull’uomo ferito, lo solleva, lo fascia, lo affida alla cura della comunità (l’albergo come immagine della Chiesa) e promette di tornare. Ma in controluce, il Samaritano è anche l’icona di ogni battezzato, chiamato a imitare il Signore non con parole, ma con gesti concreti, con compassione operosa.Il sacerdote e il levita – figure religiose per eccellenza – non mancano di conoscenze teologiche, né sono necessariamente persone cattive. Ma rappresentano una fede che resta sterile se non si traduce in carità, una religione che si rifugia nella purezza cultuale per non contaminarsi con il dolore della storia. E questo è l’abisso in cui rischiamo di cadere anche noi, ogni volta che separiamo Dio dall’uomo, il culto dalla vita, la liturgia dalla misericordia.Ecco allora il vero centro dell’interrogativo evangelico:
    Non chi è il mio prossimo, ma se io mi comporto da prossimo.
    Non chi ha diritto alla mia attenzione, ma se io sono disposto a farmi dono anche dove nulla mi verrà restituito.È la logica della croce, non del tornaconto.La parabola ci conduce così dentro una teologia della cura, in cui la salvezza non è mai individuale ma relazionale, e in cui la prossimità diventa via mistica: non si accede al mistero di Dio senza passare attraverso le ferite dell’umanità.Per questo, l’omelia di oggi non si accontenta di raccontare, ma chiama. Chiama a una decisione concreta, urgente, quotidiana:
    “Chi è il ferito sul mio cammino, oggi?”
    Non in astratto, non nel mondo, ma nella mia famiglia, nel mio luogo di lavoro, nella mia comunità, nei margini che mi è più comodo ignorare.E soprattutto: io, da che parte sto?
    Sono colui che passa oltre?
    O colui che si ferma, che perde tempo, che si lascia ferire dal dolore dell’altro?È lì che si gioca la verità del nostro discepolato. È lì che la Parola si fa carne nella nostra carne. E solo lì il Vangelo smette di essere una bella teoria… e diventa vita vissuta.
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    7 mins
  • OMELIA DELLA XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
    Jul 6 2025
    La riflessione di questa domenica del Tempo Ordinario si concentra sulla missione dei settantadue discepoli in Lc 10,1-20, sviluppando una teologia della missione che trasforma l'invio evangelico in paradigma per la testimonianza cristiana contemporanea. L'omelia utilizza un linguaggio poetico ed evocativo che sottolinea la "strana bellezza" di un Vangelo incentrato non sui prodigi ma sui "cammini da percorrere" e sugli "incontri possibili". L'analisi esegetica evidenzia alcuni elementi chiave del testo lucano: l'invio "a due a due" come principio di ecclesialità ("la fede cammina in compagnia"), la condizione di vulnerabilità ("come agnelli in mezzo ai lupi") e l'essenzialità dei mezzi ("senza borsa, né sacca, né sandali"). Questi elementi vengono interpretati come decostruzione del modello missionario trionfalistico in favore di una testimonianza basata sulla fragilità condivisa e sulla rinuncia all'autosufficienza. Particolare originalità caratterizza l'interpretazione della "pace" come "primo miracolo del Vangelo", definita non come "assenza di conflitto" ma come "presenza di Dio", non come "silenzio" ma come "armonia profonda tra ciò che siamo e ciò che desideriamo". Questa definizione antropologica della pace evangelica supera le concezioni meramente negative per giungere a una comprensione ontologica della shalom biblica. Il cuore teologico della riflessione analizza il mandato di "guarire i malati" in chiave spirituale ed esistenziale: "possiamo essere guaritori dell'anima", "mani tese, sguardi veri, presenze che non scappano". Questa interpretazione democratizza il ministero della guarigione, rendendolo accessibile a ogni credente attraverso la semplice "vicinanza a chi non si aspetta più niente". L'elemento più significativo è l'esegesi del ritorno entusiastico dei discepoli e della risposta di Gesù che riorienta la gioia dai "successi" al "legame" con lui: "Non rallegratevi perché i demòni si sottomettono a voi, ma perché i vostri nomi sono scritti nei cieli". Questa correzione viene interpretata come distinzione fondamentale tra efficacia missionaria e identità cristiana, tra "ciò che fate" e "ciò che siete per me". La conclusione propone un'attualizzazione della missione attraverso il rovesciamento della logica di cristianizzazione: "non di portare il mondo in chiesa, ma di portare la Chiesa nel mondo", non "con l'arroganza di chi sa" ma "con la tenerezza di chi ha incontrato la Luce". Questa ecclesiologia missionaria privilegia la testimonianza esistenziale sulla proclamazione verbale, la "mitezza" sulla "forza". L'interpretazione finale che identifica ogni credente tra i "settantadue" e propone come criterio di verifica missionaria non i risultati ma la capacità di "camminare con Lui" nella quotidianità, trasforma la missione da attività straordinaria a dimensione ordinaria dell'esistenza cristiana, fondata sulla certezza che "anche i nostri nomi, scritti nel cielo, ci sorrideranno in silenzio".


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    6 mins
  • OMELIA SOLENNITA' SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI
    Jun 29 2025
    La riflessione di questa domenica del Tempo Ordinario si concentra sulla confessione di Pietro in Mt 16,13-20, sviluppando un'interpretazione che trasforma l'interrogativo cristologico in sfida esistenziale per il credente contemporaneo. L'omelia utilizza una strategia retorica che contrappone la superficialità dell'opinione pubblica ("tutti sanno tutto di tutti") alla profondità della conoscenza personale richiesta da Cristo. L'analisi esegetica evidenzia la progressione delle domande di Gesù: dal generico "Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?" al personalissimo "Ma voi, chi dite che io sia?". Questa escalation viene interpretata come movimento dalla conoscenza mediata ("sentito dire") all'esperienza diretta, dalla ripetizione di formule all'elaborazione di una risposta personale. L'omelia sottolinea come le risposte della folla (Giovanni Battista, Elia, Geremia) rappresentino tentativi di categorizzazione che riducono il mistero di Cristo a schemi preesistenti. Particolare acutezza caratterizza l'attualizzazione della dinamica tra "opinione pubblica" e "conoscenza personale" nel contesto della cultura digitale contemporanea, dove "basta un post sui social per diventare esperti di tutto". Questa critica dell'epoca delle "fake news e delle verità liquide" trasforma l'interrogativo cristologico in questione epistemologica: come distinguere la conoscenza autentica dall'informazione superficiale. Il cuore teologico della riflessione analizza la risposta di Pietro ("Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente") come frutto di "rivelazione che viene dal profondo" piuttosto che "formula imparata a memoria". L'interpretazione di Gesù ("né carne né sangue te lo hanno rivelato") viene sviluppata come distinzione tra fede come "abitudine" e fede come "incontro", tra appartenenza sociologica ed esperienza trasformante. L'elemento più originale è la correlazione tra confessione cristologica e responsabilità ecclesiale: "Siccome tu hai riconosciuto chi sono davvero, ora tocca a te diventare punto di riferimento per gli altri". Questa lettura trasforma la confessione di fede da atto privato in mandato pubblico, da esperienza intimistica in responsabilità sociale. La conclusione sviluppa una ecclesiologia della testimonianza che risponde al bisogno contemporaneo di "autenticità" attraverso la coerenza esistenziale: "vivere quello che si dice di credere". L'omelia propone il cristiano come "pietra solida in un mondo liquido", capace di "andare controcorrente" e di "non aver bisogno del consenso della maggioranza per fare il bene". L'interpretazione finale che trasforma la comunità ecclesiale in "casa per chi cerca, rifugio per chi è stanco e luce per chi è nel buio" sintetizza una visione missionaria della Chiesa fondata sull'autenticità della testimonianza personale piuttosto che sull'autorità istituzionale, rispondendo alle sfide della credibilità ecclesiale nel contesto contemporaneo.
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    8 mins

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