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OMELIA ASCENSIONE DEL SIGNORE (ANNO C)

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La riflessione dell'Ascensione si concentra sul racconto lucano (Lc 24,46-53), sviluppando una meditazione che trasforma l'apparente separazione in esperienza di presenza permanente. L'omelia utilizza una strategia narrativa immersiva, invitando i fedeli a "chiudere gli occhi" e rivivere l'esperienza dei discepoli sul monte dell'Ascensione, creando un ponte empatico tra l'evento fondante e l'esperienza contemporanea del credente. L'analisi esegetica evidenzia la tensione emotiva del momento: i "quaranta giorni" di presenza post-pasquale vengono interpretati come tempo di grazia che amplifica il dolore della separazione. Particolare attenzione è dedicata alla formula "Di questo voi siete testimoni", che viene problematizzata attraverso domande esistenziali concrete: come tradurre l'esperienza del divino nel linguaggio quotidiano delle relazioni familiari e professionali. Il momento centrale dell'ascensione viene interpretato attraverso il simbolismo delle "mani alzate in benedizione": l'ultima azione terrena di Gesù non è un insegnamento o un comando, ma un gesto di benedizione permanente. Questa immagine diventa la chiave interpretativa dell'intera riflessione, trasformando l'Ascensione da evento di separazione in segno di presenza perpetua. Significativa è l'interpretazione della "grande gioia" dei discepoli (Lc 24,52), apparentemente paradossale di fronte alla partenza definitiva del Maestro. L'omelia legge questa gioia come comprensione matura della missione: l'Ascensione non come abbandono ma come liberazione che permette ai discepoli di portare Cristo "ovunque", trasformando ogni luogo in spazio di incontro con il divino. La conclusione sviluppa una teologia dell'incarnazione continuata: i credenti diventano "mani che benedicono", "occhi che guardano con tenerezza", "cuore che ama senza misura". Questa ecclesiologia dal basso presenta la Chiesa non come istituzione ma come corpo vivente di Cristo che continua la sua presenza nel mondo attraverso gesti concreti di amore quotidiano. L'elemento più originale della riflessione è l'affermazione che "quelle mani non sono mai scese": l'Ascensione viene riletta non come fine della presenza terrena di Cristo ma come inizio della sua benedizione universale e permanente, che raggiunge ogni credente "in questo momento stesso". Questa interpretazione trasforma l'Ascensione da evento storico in esperienza mistica attuale, offrendo una risposta teologica al senso di abbandono e solitudine che può caratterizzare l'esperienza di fede contemporanea.

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