• “Land, Not Life”: la formula di governo del genocidio a Gaza
    Aug 13 2025
    C’è un punto dirimente per dividere i collaborazionisti dagli analisti: il piano di Netanyahu non ha nulla a che vedere con la sicurezza o con la fine della guerra. È il compimento di una logica dichiarata: terra al posto delle vite. “Land, Not Life” non è un titolo a effetto, è la formula di governo. Prendere Gaza, non salvarla.

    Contro ogni evidenza strategica, l’esecutivo israeliano punta alla spoliazione civile e alla cancellazione fisica di chi la abita: un milione di persone spinte verso lo sfollamento forzato, in una campagna militare che non distingue più tra obiettivo militare e resistenza all’annientamento. Lo stesso establishment israeliano avverte il rischio di una trappola militare e morale, ma la coalizione al potere è salda: la visione messianica di “Greater Israel” giustifica ogni passo, ogni vittima, ogni rovina.

    Le vittime palestinesi quindi non sono un “effetto collaterale”. Basta ipocrisia: sono la condizione necessaria del progetto. È questo che rende Gaza il laboratorio di un genocidio visibile, annunciato, documentato giorno per giorno. Eppure, come da mesi, le cancellerie occidentali si rifugiano nelle formule di rito, rimandano, promettono verifiche, si limitano a “monitorare la situazione” mentre il terreno si riempie di fosse comuni e le mappe militari sostituiscono le strade delle città.

    Quello che a Gaza si consuma oggi non è l’ennesima pagina nera della storia: è un crimine in diretta, permesso dall’immobilismo di chi dovrebbe fermarlo e scelto da chi lo esegue come dottrina di governo. Mentre quelli si lambiccano sui termini stanno sprofondando le persone.

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  • Ma noi abbiamo visto già tutto
    Aug 12 2025
    L’ultimo atto della notte di San Lorenzo, a Gaza, non è stato uno spettacolo di stelle cadenti. È stata la luce livida di un’esplosione a illuminare la tenda di Al Jazeera accanto all’ospedale di al-Shifa, dove Anas al-Sharif e altri cinque membri della redazione sono stati uccisi. Un giornalista che aveva trasformato il suo obiettivo in testimonianza quotidiana del genocidio, e che per questo era stato indicato come “bersaglio” da una campagna diffamatoria dell’esercito israeliano. La sua unica arma era la verità, e l’ha pagata con la vita.
    Israele sostiene che “si spacciasse per giornalista” e che fosse con Hamas. È la stessa strategia che, da Shireen Abu Akleh in poi, cerca di neutralizzare le voci scomode prima di eliminarle fisicamente. La sequenza è sempre più chiara: prima la delegittimazione, poi il fuoco. La guerra di Benjamin Netanyahu non si limita a radere al suolo Gaza; punta a cancellarne anche la memoria, eliminando chi potrebbe trasmetterla al mondo.
    Mentre la fame uccide già cento bambini, mentre gli aiuti vengono colpiti e le “zone sicure” bombardate, il premier israeliano annuncia un’operazione ancora più vasta, ringrazia Donald Trump per il sostegno e respinge come “menzogne globali” le accuse di genocidio. In parallelo, dal 31 agosto, la Global Sumud Flotilla salperà con decine di imbarcazioni per rompere il blocco e consegnare aiuti, sostenuta da attivisti di oltre 44 Paesi.
    In fondo, la morte di Anas e dei suoi colleghi dice già tutto: non è un “effetto collaterale” ma il cuore stesso di una strategia che teme i testimoni più delle armi. Ma noi abbiamo visto già tutto.

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  • Netanyahu uccide, l’Europa paga, gli USA proteggono
    Aug 11 2025
    La guerra a Gaza ha consumato ogni brandello di umanità. Le cronache di questi giorni raccontano un orrore ciclico, una devastazione silenziosa che piega corpi e speranze. Il piano di Netanyahu — una conquista totale di Gaza — resta lontano dall’essere realizzato, frenato persino dall’opposizione interna e dalla “cabina di guerra” israeliana che ammonisce sui costi insostenibili, umani e strategici. La pressione internazionale aumenta: sedute d’emergenza all’ONU, parlamenti che si mobilitano. Ma più che a fermare il massacro, sembra si reagisca per salvare l’immagine che ancora si può salvare.
    E intanto a Gaza, mentre i grandi della politica si confrontano freddi, il dolore si legge negli occhi di chi ha perso tutto. I racconti dal territorio descrivono le infezioni, le ustioni, la cecità imposta dalle bombe e dal silenzio. Lì, ogni cura è un miraggio, ogni farmaco un’utopia. Ogni volto è un grido che il mondo rifiuta di ascoltare.
    B’Tselem, Amnesty e numerosi studiosi di diritto internazionale parlano ormai chiaramente di un disegno che travalica ogni logica militare per diventare pulizia etnica — o peggio. Ogni giorno 93 persone — tra cui donne e bambini — cadono vittime di un conflitto il cui vero obiettivo sembra essersi sdoppiato: da un lato la resa di Hamas, dall’altro l’annientamento di un’intera popolazione.
    Eppure, in questo squallido teatro umano, ogni passaggio verso la piena occupazione di Gaza rischia di essere l’anticamera di una guerra eterna. Gaza non è uno spazio neutro da conquistare, ma un popolo da cui partire. Anche ieri Gaza ha urlato, anche ieri il mondo ha taciuto.

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  • Chi occupa vince, se ha buoni amici
    Aug 9 2025
    Benjamin Netanyahu ha smesso di fingere. Ora è ufficiale: Israele si prepara a un’occupazione permanente della Striscia di Gaza. Non è più guerra, non è più rappresaglia. È colonizzazione. E a questo punto la domanda è tanto semplice quanto cruciale: la comunità internazionale intende applicare le stesse sanzioni che ha imposto agli altri invasori del nostro tempo?
    L’Iraq che occupa il Kuwait? Embargo totale, risoluzioni ONU, operazioni militari autorizzate. La Russia che invade l’Ucraina? Congelamento di riserve valutarie, esclusione dal sistema SWIFT, price cap sul petrolio, sanzioni mirate su migliaia di individui. Israele che occupa Gaza dopo averla devastata, assediata e spopolata? Nulla. Nessuna sanzione. Nessun embargo. Anzi: accordi commerciali privilegiati, rifornimenti militari e scudi politici a ripetizione.
    Il doppio standard non è più un sospetto. È un dato giuridico. Il diritto internazionale è chiarissimo: un’occupazione non può prevedere trasferimenti forzati, punizioni collettive, distruzioni sistematiche o blocchi umanitari. Eppure tutto questo è già realtà. E il Consiglio di Sicurezza resta paralizzato dai veti statunitensi.
    Ora che Israele non si nasconde più, neppure l’Occidente potrà farlo. I governi europei e i partiti italiani che hanno invocato le “regole” contro Mosca devono decidere se il diritto vale anche a Gaza. Se non lo faranno, l’eccezionalismo israeliano non sarà più solo tollerato: sarà legittimato. E con esso, il tramonto dell’ordine giuridico internazionale. Del resto ogni genocidio che si rispetti ha bisogno di una moltitudine di canaglie collaborazioniste, indifferenti e servi sciocchi.

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  • Israele bombarda anche il pane
    Aug 8 2025
    C’è fame, sì. Ma non per carestia. Fame indotta, calcolata, prodotta con metodo. Secondo i nuovi dati della FAO, oggi a Gaza resta accessibile e coltivabile appena l’1,5% delle terre agricole. In aprile era il 4%. Nel 2023, prima dell’assedio, Gaza era un cuore agricolo: 10% del PIL, mezzo milione di persone coinvolte, una varietà di colture locali che garantiva autosufficienza e dignità. Oggi è tutto cenere.
    Dal blocco totale imposto a marzo all’impossibilità di far entrare aiuti, fino al bombardamento sistematico di serre, orti, frutteti e pescherecci: l’agricoltura a Gaza è stata sterminata. E con essa i suoi abitanti. Più dell’86% dei terreni è stato danneggiato. A nord si arriva al 94%. In molti casi, come a Rafah, non si tratta solo di distruzione ma di occupazione: ciò che non è stato raso al suolo è stato reso inaccessibile.
    «Gaza è sull’orlo della carestia totale», avverte il direttore della FAO Qu Dongyu. Ma è già oltre l’orlo: centinaia di persone sono morte di fame, migliaia uccise mentre cercavano cibo. Michael Fakhri, relatore speciale ONU per il diritto al cibo, è chiarissimo: «Israele ha costruito la più efficiente macchina di fame che si possa immaginare».
    Si chiama ecocidio, quando la guerra devasta intenzionalmente l’ambiente. E in questo caso ha un solo scopo: rendere la vita impossibile. Distruggere ogni futuro. Affamare come strumento di dominio. Le caratteristiche tipiche del genocidio.
    Il diritto al cibo è diritto umano. A Gaza è diventato un bersaglio militare. Un altro indizio. Anzi, un’altra prova, l’ennesima, di ciò che accade a Gaza.

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  • Netanyahu non vuole vincere: vuole restare
    Aug 7 2025
    Netanyahu parla di «conquista totale» di Gaza, ma la realtà lo smentisce ogni giorno. È il paradosso di una guerra che si racconta come già vinta mentre continua a fallire, sotto gli occhi stanchi dei comandi militari e la retorica furiosa di un premier che cerca consenso nel sangue. A nove mesi dall’inizio dell’operazione, Hamas non è stata distrutta, gli ostaggi non sono stati liberati, la Striscia non è sotto controllo. Secondo fonti dell’IDF, «Israele occupa solo una parte minima del territorio» e nei quartieri chiave «Hamas mantiene presenza e servizi civili».
    Ma Netanyahu insiste. Parla alla pancia della destra messianica, promette sicurezza e vittoria, mentre Rafah è stata divisa dal resto di Gaza con un nuovo corridoio militare – il terzo – e si affonda nel disastro umanitario. Il sistema crolla: ospedali chiusi, aiuti bloccati, blackout imposti come arma. Ma l’unico piano che il governo sembra avere è continuare la guerra. E pazienza se il costo si misura in bambini denutriti, famiglie in fuga e città rase al suolo. Anche la diplomazia è paralizzata, stritolata tra cinismo e propaganda.
    Intanto i generali si defilano. L’IDF chiede un’uscita strategica, ma il potere politico vuole la resa incondizionata. E mentre gli alleati tacciono, mentre gli ostaggi restano ostaggi, Netanyahu sale sui podi a dichiarare vittorie che non ci sono. Il risultato è una guerra che si perpetua per mantenere il potere e una menzogna che si autoalimenta: la conquista di Gaza come finzione necessaria, perché non c’è alcun progetto per il dopo. Né politico, né umano. Solo un vuoto. Armato. E feroce.

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  • Gaza muore per la fame d’Israele
    Aug 6 2025
    Fanno finta di cadere dal pero, ma è tutto nero su bianco. L’occupazione totale della Striscia da parte di Israele non è un’ipotesi: è un piano. Netanyahu l’ha deciso e lo ha detto, ieri, mentre convocava il gabinetto di sicurezza. Non è la deriva di un fanatico isolato, è l’obiettivo dichiarato di un governo che al fanatismo ha affidato le leve del potere. E non c’è bisogno di leggere tra le righe: i ministri Smotrich e Ben Gvir l’avevano già invocata a ottobre. Oggi ne discutono solo i dettagli.
    Nel frattempo, Gaza muore. Ieri almeno 74 vittime nei raid. Tre palestinesi sono stati uccisi mentre aspettavano gli aiuti. Altri otto sono morti di fame, secondo il ministero locale della Salute. Si muore per le bombe e per il blocco. Si muore per la fame, ma è la fame d’Israele a uccidere. Una fame di terra, di cancellazione, di dominio.
    Il finto stupore degli editorialisti, degli analisti, dei diplomatici che si fingono sorpresi è il contorno grottesco di questa pulizia. Fingono di non sapere ciò che Netanyahu e soci vanno ripetendo da mesi: che non esiste Gaza senza Israele, che Hamas è solo un alibi, che gli ostaggi servono solo per procrastinare lo sterminio.
    Chi si ostina a parlare di soluzione politica mentre si moltiplicano gli eccidi, chi chiede garanzie sul “dopoguerra” mentre Gaza viene polverizzata, è complice. Le dichiarazioni di Ben Gvir, la convocazione del gabinetto militare, gli elogi di Trump, le tensioni con l’Idf: tutto mostra che non c’è alcun interesse per la pace, solo l’ansia di completare la distruzione.
    Il crimine non è futuro: è in corso. E chi lo scopre oggi, troppo tardi, dovrebbe almeno avere il pudore di tacere.

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  • A Gaza gli ostaggi sono il trucco, non il fine
    Aug 5 2025
    Ci hanno detto che la guerra finirà quando torneranno a casa gli ostaggi. Ce lo ripetono ogni giorno, come fosse un pegno morale da esigere con le bombe. Ma chiunque segua con onestà i fatti sa che è una menzogna funzionale: la liberazione degli ostaggi non è mai stata il fine. È il pretesto.
    La linea del governo è chiara, ed è ben più ampia della liberazione degli ostaggi. Il ministro Itamar Ben Gvir lo ha detto senza infingimenti: «Conquistare tutta Gaza, incentivare l’emigrazione volontaria, ricostruire gli insediamenti. Solo così riporteremo gli ostaggi e vinceremo la guerra». Non una liberazione, ma una sostituzione.
    Netanyahu non si oppone. Secondo quanto riportato dal Times of Israel, «sta mostrando apertura verso l’idea di incoraggiare la migrazione dei palestinesi da Gaza», sotto pressione della sua ala più estrema. E il suo ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, propone ufficialmente di reinsediare coloni israeliani nella Striscia.
    Intanto, Gaza muore di fame: 180 vittime accertate per malnutrizione, 93 sono bambini. Le forze israeliane hanno sparato su civili in fila per gli aiuti: 7 morti e 20 feriti solo il 4 agosto, vicino al centro GHF di Gaza City.
    Hamas – riferisce il Jerusalem Post – ha chiesto almeno 250 camion di aiuti al giorno come precondizione per tornare a trattare. La risposta israeliana è stata più fuoco e più fame.
    È in questo contesto che oltre 600 ex funzionari del Mossad e dello Shin Bet hanno scritto a Trump: «Hamas non è più una minaccia strategica. Questa guerra non è più giusta».
    Chi parla ancora solo di ostaggi, mente. O è complice.

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