• Occhi su Gaza, diario di bordo #78
    Nov 20 2025
    Nelle ultime ventiquattro ore la tregua ha mostrato la frattura più pericolosa: gli attacchi arrivano anche nei corridoi umanitari e nelle aree indicate come sicure. Le ONG descrivono convogli costretti a invertire la marcia, check-point aperti e richiusi senza spiegazioni, itinerari che cambiano all’ultimo minuto. Una tregua che non permette di prevedere neanche un percorso diventa un’architettura instabile, dove ogni movimento espone a un rischio.
    Secondo i dati raccolti dalle organizzazioni locali dal 10 ottobre, giorno dell’entrata in vigore del cessate il fuoco, al 18 novembre, le violazioni documentate sono 393, con almeno 279 morti e più di 650 feriti. Nelle ultime ore si segnalano nuovi attacchi mentre le squadre umanitarie tentavano di raggiungere le famiglie rimaste isolate. Non è la rottura improvvisa di un accordo: è il logoramento quotidiano di una tregua che si incrina a piccoli colpi, fino a svuotare la parola “protezione”.
    La Cisgiordania segue un copione diverso ma complementare. Nell’ultima settimana sono aumentate le aggressioni dei coloni, gli incendi alle proprietà palestinesi e gli arresti degli attivisti israeliani che accompagnano i contadini nella raccolta delle olive. Qui il cessate il fuoco non è mai arrivato: la marginalità del territorio nelle discussioni diplomatiche riflette una gerarchia del conflitto che si ripete da mesi.
    Mentre nelle cancellerie si progettano le “fasi successive”, sul terreno l’unica fase identificabile è l’attesa. Le famiglie misurano il rischio metro dopo metro, gli operatori ripianificano ogni tragitto, e la tregua resta un confine fragile: un accordo che esiste sulle carte più di quanto riesca a esistere nella vita di chi dovrebbe protegge davvero.

    #LaSveglia per La Notizia

    Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
    Show More Show Less
    2 mins
  • Occhi su Gaza, diario di bordo #77
    Nov 19 2025
    Le prime piogge hanno trasformato le tende in vasche di fango. I bambini dormono sui materassi bagnati, con i vestiti inzuppati di acque reflue. Jan Egeland del Norwegian Refugee Council avverte che «perderemo vite quest’inverno» e che sono state «gettate via settimane cruciali» da quando il piano Trump prometteva l’arrivo degli aiuti. Save the Children parla di 13mila famiglie colpite dagli allagamenti soltanto nell’ultimo fine settimana, 700mila minori esposti al freddo, quattordici bambini morti di ipotermia negli ultimi due inverni. È la fotografia che arriva da Gaza mentre, a migliaia di chilometri, si disegna il suo futuro.
    Nelle stesse ore, il Consiglio di sicurezza approva la risoluzione statunitense che incorpora il piano in venti punti: forza di pace internazionale, smilitarizzazione, “deradicalizzazione”, possibile Stato palestinese a riforme completate. Tredici voti favorevoli, astensione di Russia e Cina. Trump lo celebra come «una delle più grandi approvazioni nella storia delle Nazioni Unite». Le parole scorrono, il fango resta.
    La politica palestinese reagisce divisa: l’Autorità nazionale applaude la risoluzione e chiede «attuazione immediata» in nome della protezione dei civili e della ricostruzione. Hamas denuncia invece una tutela internazionale che toglie neutralità alla forza prevista e affida il disarmo a un meccanismo percepito come coloniale, rifiutando di consegnare le armi e contestando qualunque ruolo israeliano.
    A Tel Aviv, Benjamin Netanyahu rivendica la “completa smilitarizzazione” inscritta nel testo e la possibilità di allargare gli Accordi di Abramo. I vertici militari, intanto, protestano contro la vendita di F-35 all’Arabia Saudita, temendo per la «superiorità aerea» israeliana. Sul tavolo dei negoziati si parla di futuro e sicurezza. Nelle tende allagate, si parla di sopravvivenza.

    #LaSveglia per La Notizia

    Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
    Show More Show Less
    2 mins
  • Occhi su Gaza, diario di bordo #76
    Nov 18 2025
    A Gaza la pioggia è stata più rapida delle risoluzioni. Nelle ultime ventiquattro ore le tende di Khan Yunis e Deir al-Balah sono crollate sotto il vento, i campi dell’Unrwa allagati, diciotto siti dichiarati “inabitabili”. Alla parrocchia della Sacra Famiglia, più di quattrocento persone cercano riparo mentre i vicoli intorno diventano fango. Eppure l’IDF ha confermato nuovi colpi d’artiglieria nella zona centrale: il “cessate il fuoco sostanziale” si incrina fra le sirene e l’acqua che entra dai teloni sfondati.
    La situazione sanitaria precipita: l’Oms parla di cinquemila bambini in lista d’attesa per interventi essenziali, gli ospedali da campo giordani ed egiziani sospendono attività per mancanza di carburante, la diarrea infantile supera i diciassettemila casi settimanali. La guerra resta nel corpo dei bambini più di qualunque voto al Palazzo di Vetro.
    Dalle carceri arrivano notizie ancora peggiori. Medici per i Diritti Umani–Israele aggiorna a novantotto i morti in custodia dal 2023 e segnala altre quattordici persone scomparse senza notizie alle famiglie. Ex detenuti rilasciati ieri raccontano acqua razionata, luce accesa ventiquattr’ore, numeri al posto dei nomi. Sul piano politico Netanyahuì ha ribadito che Israele manterrà la “responsabilità di sicurezza” su Gaza «per tutto il tempo necessario», smentendo nei fatti l’architettura negoziale in discussione.
    Ai valichi, la normalità è l’intermittenza: Kerem Shalom ha aperto solo per sette ore, chiudendo con duecento camion di aiuti bloccati lato egiziano, comprese le macchine destinate alla ricerca degli ostaggi. E l’Europa manda segnali opposti: Berlino riapre all’export militare, mentre Dublino definisce la mossa «incompatibile con le garanzie umanitarie».
    In questo scenario, il voto dell’Onu esta un esercizio lontano. La realtà, qui, non aspetta i verbali.

    #LaSveglia per La Notizia

    Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
    Show More Show Less
    2 mins
  • Occhi su Gaza, diario di bordo #75
    Nov 17 2025
    Nel sud di Gaza, dove la tregua resta parola, gli aerei israeliani colpiscono ancora a est di Gaza City e nei pressi di Khan Yunis: civili feriti, un morto recuperato dalle macerie dei raid dei giorni scorsi. Nel frattempo, nei palazzi della diplomazia, avanza la proposta di una missione internazionale di «stabilizzazione». Nei comunicati si discute di mandati e regole di ingaggio, nei vicoli si continuano a contare i corpi.

    I corridoi umanitari vengono presentati come prova che «il meccanismo funziona», ma nei campi profughi decine di migliaia di persone vivono sotto la pioggia, senza tende adeguate né rifugi sicuri. Le prime piogge invernali trasformano il fango in acqua nera, aggravano l’emergenza sanitaria, spengono i generatori: la lunga fila di convogli che entra dalla frontiera non cambia l’aritmetica del collasso.

    A nord, la guerra “in pausa” resta solo nelle dichiarazioni. UNIFIL segnala che un carro armato israeliano ha sparato colpi pesanti a ridosso dei caschi blu lungo la Blue Line, episodio definito «grave violazione». In Cisgiordania un’altra operazione tra Nablus e i villaggi vicini lascia un palestinese ucciso e case devastate, mentre le aggressioni dei coloni proseguono lontano dai riflettori.

    Sul piano politico, Benjamin Netanyahu ripete che uno Stato palestinese «non sarà consentito», proprio mentre al Consiglio di Sicurezza si discute della futura forza per Gaza. A sud si amministrano tregue parziali, a nord si alzano muri di cemento, al centro si cancella qualsiasi orizzonte di rappresentanza. A Gaza «stabilizzazione» è il nome di un equilibrio costruito sul rumore dei droni.

    #LaSveglia per La Notizia

    Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
    Show More Show Less
    2 mins
  • Occhi su Gaza, diario di bordo #74
    Nov 16 2025
    16 novembre. A Gaza l’inverno entra dalle fessure. Le tende degli sfollati affondano sotto la pioggia, i bambini raccolgono l’acqua con le mani, l’Unrwa ripete che i rifornimenti per il freddo restano fermi ai valichi e che le restrizioni israeliane violano il diritto internazionale. La tregua sembra un telo bagnato che non regge.
    A New York si prepara il voto sul piano americano per il dopo-Gaza, mentre la Russia rilancia un testo alternativo che cancella l’autorità di transizione immaginata dagli Usa. In parallelo, l’esercito israeliano lavora già all’ipotesi di un collasso della tregua: un dettaglio che vale più di molte dichiarazioni.
    Sul fronte nord il Libano porta all’Onu il reclamo contro il muro costruito da Israele, definito una ferita alla propria sovranità. È il segno che la “calma” non ha smesso di scricchiolare.
    La contabilità dei corpi continua a scorrere su due lati: a Tel Aviv le famiglie tornano in piazza per chiedere il rientro degli ultimi tre ostaggi; a Gaza arrivano altre quindici salme, una lista che supera le trecento e che resta in gran parte senza nome. Lo stesso giorno Abu Mazen compie novant’anni, icona di un’Autorità palestinese che partecipa ai colloqui sulla “fase successiva” da una posizione sempre più laterale.
    In Italia Tajani ripete la formula del «rafforzare la tregua» e guarda al voto di lunedì, legando l’esito alle scelte di Cina e Russia. La Cisl consegna 553mila euro alla Croce Rossa e richiama l’unico orizzonte possibile, «due popoli, due Stati», mentre nelle città italiane restano i gesti minimi: i ventimila nomi dei bambini di Gaza scritti dai loro coetanei a Brescia; una madre e un bimbo accolti in parrocchia; un blitz per ricordare che il silenzio consuma.
    L’ambasciatore israeliano in Italia dice che il problema non è il governo, ma l’opinione pubblica. A Gaza, sotto l’acqua, il problema ha un altro nome: sopravvivere alla tregua.

    #LaSveglia per La Notizia

    Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
    Show More Show Less
    2 mins
  • Occhi su Gaza, diario di bordo #73
    Nov 15 2025
    Le prime piogge sono arrivate a Gaza come un’altra forma di assedio. Le tende si riempiono d’acqua, le latrine tracimano, gli sfollati spostano i materassi da un angolo all’altro per salvarli dall’umidità. L’85% delle infrastrutture idriche e fognarie è distrutto e l’inverno entra da ogni fessura mentre la tregua del 10 ottobre resta una parola che non riesce a proteggere nessuno.

    Dentro questa pausa armata si è disegnata la nuova geografia del dopoguerra: la “Yellow Line” che taglia la Striscia da nord a sud, la metà orientale sotto controllo militare, la metà occidentale lasciata alla sopravvivenza tra tende e macerie. In quaranta giorni di “cessate il fuoco” sono stati uccisi centinaia di palestinesi in scontri, raid isolati o colpi sparati ai checkpoint. È un conflitto che ha cambiato intensità, non logica.

    Fuori dal cono di luce delle trattative internazionali, la Cisgiordania scivola in una routine di violenza che nessun tavolo diplomatico riesce a nominare. A Salfit una moschea è stata incendiata dai coloni; nei villaggi gli ulivi vengono sradicati durante la raccolta; a Nablus e Hebron gli attacchi notturni sono ormai un’abitudine. Le ONG documentano pestaggi, incendi, aggressioni: un sistema di impunità che si consolida mentre la comunità internazionale discute di “stabilizzazione”.

    A New York le grandi potenze trattano modelli di controllo, forze straniere, governance futura. Intorno alle parole “pace duratura” si muove un laboratorio geopolitico che somiglia poco alla vita dei campi allagati, delle fogne rotte, dei valichi dove i camion degli aiuti entrano col contagocce.

    Il diario di oggi finisce dove inizia il paradosso: si disegna il futuro di Gaza senza guardare a Gaza. In quelle tende fradice, sotto quella pioggia sporca, c’è già la risposta che nessuna risoluzione riesce a vedere.

    #LaSveglia per La Notizia

    Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
    Show More Show Less
    2 mins
  • Occhi su Gaza, diario di bordo #72
    Nov 14 2025
    Nel documento interno della brigata Givati trapelato ieri c’è una riga che racconta più di molte conferenze stampa. Il 19 novembre 2024 un corrispondente militare parla di «circa 40 terroristi» uccisi mentre tentavano di fuggire da Jabalia sotto pioggia e nebbia. Nel foglio Excel ufficiale, però, quel giorno i morti registrati sono dieci, due il giorno prima. Trenta persone che scompaiono nella contabilità della guerra, inghiottite da una parola che le assorbe tutte: «terrorista». È in quella discrepanza che si vede come una tregua possa convivere con un archivio che continua a cancellare.
    Sul terreno la tregua resta una formula diplomatica. A Beit Lid, in Cisgiordania, oltre cinquanta coloni mascherati hanno incendiato camion, terre agricole, una fabbrica, ferendo quattro palestinesi. Nelle agenzie scorrono altre violenze: una moschea bruciata nel nord, scritte razziste, minacce persino ai soldati israeliani. A Gaza i raid su Khan Yunis e Beit Lahia continuano a intermittenza: un morto a Jabalia, demolizioni di siti definiti “oltre la Linea Gialla”. Il senatore Rubio avverte che la violenza dei coloni può far saltare la tregua, mentre nello stesso giorno invoca una forza multinazionale di “stabilizzazione”. Due piani paralleli che non si toccano.
    Nei palazzi, infatti, si lavora sulla narrazione. Il G7 Esteri in Canada dice di occuparsi di «Gaza e tensioni emergenti», mentre Trump scrive a Herzog chiedendo la grazia per Netanyahu in pieno processo. Macron autorizza le aziende israeliane della difesa al salone di Parigi. In Italia si parla sempre meno delle violazioni della tregua e il silenzio del governo.
    Resta la stessa lezione: nei conflitti e nelle politiche, ciò che non viene registrato smette di esistere. A Gaza e in Cisgiordania spariscono vite; altrove spariscono responsabilità. Il metodo è identico: correggere i numeri e sperare che il mondo guardi altrove.

    #LaSveglia per La Notizia

    Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
    Show More Show Less
    2 mins
  • Occhi su Gaza, diario di bordo #71
    Nov 13 2025
    12 novembre. Il valico di Zikim è stato riaperto per far entrare aiuti umanitari nel nord della Striscia. Israele lo definisce un segnale di fiducia, ma nello stesso momento riprendono i bombardamenti su Beit Lahiya e Jabalia. Secondo la BBC, oltre millecinquecento edifici sono stati demoliti durante la tregua. La pace, nei comunicati, resta un verbo al futuro. L’Unicef denuncia un milione di siringhe bloccate ai valichi e cinquemila bambini in attesa di cure. A passare sono solo i carichi “approvati”, mentre Singapore invia cento protesi per amputati: un gesto simbolico in un sistema sanitario che non riesce più a operare. La retorica della ricostruzione arriva prima della possibilità di curarsi. Intanto Israele approva una legge che consente di oscurare media stranieri e chiudere redazioni considerate “ostili”. Gaza resta sigillata anche per l’informazione. Fnsi, Ordine dei Giornalisti e Movimento Giustizia e Pace chiedono all’Europa di intervenire: quasi trecento reporter palestinesi sono stati uccisi dall’inizio della guerra. Alessandra Costante avverte: «Non vogliamo colonizzare la notizia, vogliamo verificarla». In Cisgiordania, coloni mascherati attaccano villaggi nell’area di Tulkarem. L’esercito parla di episodi “intollerabili” che “minano la stabilità”. La stessa parola che il G7 in Canada usa per definire la regione, mentre Il Cairo e Ankara discutono di una forza di stabilizzazione. Tajani rivendica il ruolo dell’Italia nella ricostruzione, ma sul terreno la tregua continua a produrre macerie. In Israele esplode la polemica per la chiusura della radio delle Forze armate decisa dal ministro Katz, mentre Trump scrive a Herzog chiedendo la grazia per Netanyahu. Nella grammatica politica degli annunci la pace è un titolo, non una condizione. Sul campo, invece, la tregua si misura nei silenzi, nei varchi selettivi e nelle voci che non possono entrare.
    #LaSveglia per La Notizia

    Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/la-sveglia-di-giulio-cavalli--3269492/support.
    Show More Show Less
    2 mins