Occhi su Gaza, diario di bordo #73
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Dentro questa pausa armata si è disegnata la nuova geografia del dopoguerra: la “Yellow Line” che taglia la Striscia da nord a sud, la metà orientale sotto controllo militare, la metà occidentale lasciata alla sopravvivenza tra tende e macerie. In quaranta giorni di “cessate il fuoco” sono stati uccisi centinaia di palestinesi in scontri, raid isolati o colpi sparati ai checkpoint. È un conflitto che ha cambiato intensità, non logica.
Fuori dal cono di luce delle trattative internazionali, la Cisgiordania scivola in una routine di violenza che nessun tavolo diplomatico riesce a nominare. A Salfit una moschea è stata incendiata dai coloni; nei villaggi gli ulivi vengono sradicati durante la raccolta; a Nablus e Hebron gli attacchi notturni sono ormai un’abitudine. Le ONG documentano pestaggi, incendi, aggressioni: un sistema di impunità che si consolida mentre la comunità internazionale discute di “stabilizzazione”.
A New York le grandi potenze trattano modelli di controllo, forze straniere, governance futura. Intorno alle parole “pace duratura” si muove un laboratorio geopolitico che somiglia poco alla vita dei campi allagati, delle fogne rotte, dei valichi dove i camion degli aiuti entrano col contagocce.
Il diario di oggi finisce dove inizia il paradosso: si disegna il futuro di Gaza senza guardare a Gaza. In quelle tende fradice, sotto quella pioggia sporca, c’è già la risposta che nessuna risoluzione riesce a vedere.
#LaSveglia per La Notizia
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