Torino e Cultura cover art

Torino e Cultura

Torino e Cultura

By: Carlo De Marchis
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Podcast sulle persone che fanno cultura a Torino. Ideato e prodotto da Carlo De Marchis.Carlo De Marchis Social Sciences
Episodes
  • Ep. 81: Casa Fools - Luigi Orfeo - Opera e teatro come missione di riscatto sociale
    Oct 2 2025

    Luigi Orfeo è nato e cresciuto nell'area nord di Napoli, a Scampia, e il suo incontro con il teatro è stato quasi accidentale. "Io devo ringraziare tantissimo una parrocchia che fra le varie cose che aveva, aveva un campo di calcetto perché a me lo teatro non portava proprio niente, io giocavo a pallone," racconta con sincerità. Ma quella stessa parrocchia ospitava una compagnia amatoriale che prendeva il teatro come "un impegno serio," e il giovane Luigi rimase incantato guardando le loro prove. A dieci anni aveva già visto quasi tutte le commedie di Eduardo dal vivo, finché non decise di provare a partecipare. Il ricordo è nitido: "Davanti a Filumena Marturano piangevo, ero estasiato."A quattordici anni scrisse il suo primo spettacolo teatrale, che sua madre conserva ancora "col titolo colorato con i pennarelli." Da lì iniziò a fare teatro "come la cosa più naturale del mondo, cioè non sapevo niente del teatro, io lo facevo perché lo facevo e basta." Questo atteggiamento spontaneo è rimasto per tutta la vita: "Io faccio teatro e basta. Sì, poi ho studiato per farlo meglio." Gli studi lo portarono alla Silvio D'Amico, dove incontrò Stefano durante i provini. Da allora, vent'anni insieme nell'avventura dei Fools.Ma la vera rivelazione che ha segnato il percorso artistico di Luigi è arrivata attraverso l'opera lirica. Dopo aver studiato regia operistica, nel 2015 gli offrirono di dirigere la Tosca. "Esaltatissimo accetto, attacco, chiamo mia madre e dico: mamma che bellezza faccio la regia di Tosca." La risposta fu disarmante: "E chi è Tosca?" pensando che fosse una persona. "Io là ho capito la profonda ingiustizia che c'è nel divario culturale."Per Luigi, l'opera lirica rappresenta qualcosa di unico: "È forse la più grande invenzione artistica del genere umano, perché dentro l'opera ci sono tutte le arti che l'umano ha inventato, tutte in un equilibrio perfetto." La musica ha un potere particolare: "Ti pervade prima ancora che arrivi il senso, tu ti trovi a piangere prima ancora di capire perché." Nonostante i suoi successi internazionali - è stato probabilmente il più giovane regista d'opera italiano ad allestire un'opera completa in Medioriente, nell'anfiteatro romano di Amman - qualcosa non andava. Vedeva "gente impellicciata" a teatro mentre "persone che invece ne avrebbero tratto un giovamento incredibile non sapevano niente di tutta quella bellezza."La diagnosi è chiara: "L'opera è un'arte popolare che abbiamo fatto diventare un'arte elitaria." Un'arte che appartiene apparentemente solo "a chi se lo può permettere, sia economicamente che intellettualmente. Cosa assolutamente inverosimile," perché Rigoletto "è stata scritta per sobbillare il popolo e il popolo grazie a Rigoletto ha cominciato a incazzarsi col potere."Da questa consapevolezza è nato Opera Pop, lirica raccontata ad arte, un ponte tra quest'arte e le persone che non solo non ne sanno niente, ma "non ne vogliono sapere niente." Il progetto, iniziato dal vivo e poi trasferito sui podcast durante il Covid, è diventato probabilmente il podcast più ascoltato d'opera lirica in Italia. Luigi ha raccontato opere ovunque: "Dal teatro lirico ufficiale fino a un prato in un orto con le galline sotto i piedi, ma ti dico con le galline sotto i piedi."Il Covid ha insegnato due lezioni fondamentali: "Uno, al potere non gliene frega niente della cultura. Se sparisce è pure meglio, ci levano pensieri. Due, sottostima quanto invece al pubblico, alle persone, questa roba qua piace. Piace perché li unisce, piace perché li fa stare insieme."La missione di Luigi e dei Fools è chiara: diffondere cultura, bellezza e attraverso queste "cercare un modo per ristabilire e creare legami fra le persone." Il successo costante dal Covid in poi non è casuale: "Non perché siamo fighi, perché rispondiamo a un bisogno reale."

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    8 mins
  • Ep. 81: Casa Fools - Stefano Sartore - Dal palco alla strada, la cultura invade Vanchiglia
    Oct 2 2025

    Stefano Sartore è nato nella provincia di Torino, ma il suo percorso verso Casa Fools è passato per Roma. Nel 2004 si è trasferito nella capitale per studiare all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico, dove ha incontrato Luigi, il suo futuro socio. "Siamo andati a vivere insieme per caso e nelle stanze di questa casa che abbiamo preso in affitto il primo anno con altri ragazzi è nato il progetto Fools," racconta Sartore. All'epoca era semplicemente "una scusa per degli attori di mettersi intorno ad un letto a leggere dei testi." Da lì sono partiti i primi lavori, hanno gestito un teatro a Roma, ma dopo qualche anno hanno sentito il bisogno di cambiare."Roma ci stava stretta o troppo larga, perché Roma è veramente una metropoli ed è invivibile," spiega Sartore. "Abbiamo deciso di spostarci verso un centro un pochino più a misura d'uomo, in cui la qualità della vita potesse essere anche un pochino più gradevole." Durante le tournée, Stefano studiava ogni città, cercava di capire se fosse un posto dove la cultura potesse crescere. Portava avanti progetti anche a Torino, faceva venire i compagni da Roma. "Alla fine, dopo tutta questa indagine, ci siamo resi conto che Torino era una città che offriva molto. In quel periodo era veramente un arco crescente per la cultura, un terreno molto fertile."L'incontro con Roberta è stato determinante. Cercavano attrici del posto per i primi spettacoli. "Dopo aver lavorato un po' con Roberta, ci siamo guardati e ci siamo detti: questa ragazza, oltre a essere molto brava sulla scena, ha delle caratteristiche interessanti." L'hanno coinvolta nella realtà che è diventata "a tutti gli effetti una nostra realtà di tutte e tre."La filosofia di Casa Fools nasce da un'esigenza profonda. "Questo mestiere purtroppo molto spesso ti trovi in situazioni in cui partecipi a un progetto stretto come può essere uno spettacolo ma non c'è una progettualità lunga," riflette Sartore. "Gli attori sono anche molto spesso un po' egocentrici, in cui non si riesce a creare veramente un rapporto. Noi quello che abbiamo sempre cercato di fare è creare una relazione vera." Quando hanno aperto il teatro, "c'è una enorme comunità che ha aderito a questa cosa, cioè che vuole trovare nel teatro un po' un modo di entrare in connessione con le altre persone."Sartore rivela di essere stato lui, tra i tre soci, a insistere per prendere lo spazio teatrale. Ormai vive tra Torino e la Francia per motivi d'amore, ma quando Luigi e Roberta gli hanno parlato della proposta, ridendo, ha detto: "Ma ragazzi si deve fare."La svolta è arrivata con il Festival delle Arti Popolari. Le feste di inaugurazione stagionale sono cresciute progressivamente: dalla piazzetta Santa Giulia alla strada davanti al teatro. "Ci siamo detti: il teatro non ci basta più, cioè queste quattro mura non ci bastano più. La cultura deve esplodere, ci deve essere questa esplosione in strada." Il primo anno era un solo giorno, poi due, quest'anno cinque giorni con il tema della "ricreazione" - intesa sia come pausa che come ricostruzione. "L'idea che volevamo passare era proprio: lo spazio è vostro, dovete prendervelo, dovete impossessarvene e farlo vostro."L'ultimo festival ha visto la strada piena di persone dalle 10 di mattina alle 11 di sera. "Alla sera siamo saliti sul palco per presentare i gruppi finali e vedevi tutta una testa fino in fondo, fino a Corso Regina ed era una meraviglia." La soddisfazione è palpabile: "Vedere il teatro pieno, vedere la strada invasa, è proprio qualcosa che ti nutre e ti dice: ha un senso fare questa cosa."Non mancano però le difficoltà. Quest'anno hanno dovuto affrontare persino minacce di morte da un vicino infastidito: "Vi voglio morti! Abbiamo dovuto chiamare i carabinieri." Ma nemmeno questo ha rovinato la giornata. "Già a metà giornata questo era dimenticato perché veramente vedere tutte queste persone che aderiscono a questa festa ti riempie il cuore."

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    10 mins
  • Ep. 81: Casa Fools - Roberta Calia - Teatro partecipativo che trasforma gli spazi in comunità
    Oct 2 2025

    Nel cuore di Vanchiglia, nascosto all'interno di un condominio torinese, si trova uno spazio teatrale che sta ridefinendo il rapporto tra cultura e cittadinanza. Casa Fools, con i suoi 85 posti, rappresenta molto più di un semplice teatro: è un esperimento sociale di partecipazione culturale che da sette anni costruisce comunità attraverso la condivisione delle scelte artistiche.Roberta Calia, attrice e codirettrice artistica di Casa Fools, racconta una storia che inizia nel 2010, quando incontrò una compagnia appena arrivata da Roma che cercava un'attrice. "Sono andata a fare il provino e ho conosciuto i Fools. Dovevano essere i miei compagni di viaggio per una semplice avventura di una produzione e invece da allora non ci siamo più lasciati."L'occasione di rilevare uno spazio si presentò nel 2018, quando il Teatro della Caduta propose di passare il testimone. La reazione iniziale fu un rifiuto: "Ci sembrava che avrebbe arrestato la nostra attività di compagnia di giro." Ma uno dei tre soci ebbe un'intuizione che cambiò tutto: "Lo spazio è proprio quello che ci serve."Così nacque Casa Fools. La scelta del nome riflette una visione precisa: "Il nostro desiderio era che le persone si sentissero a casa, che abitassero un luogo, quindi non solo spettatori, non fruitori di un prodotto culturale, ma persone che abitano uno spazio." Per Calia e i suoi soci, il teatro è sempre stato "uno strumento, non un fine, ma il mezzo per ragionare sulle cose e per stare insieme alle persone."Questo concetto si manifesta concretamente attraverso il Collettivo Cartellone Condiviso. Casa Fools apre una call che riceve centinaia di candidature (quest'anno oltre 350), ma la selezione degli spettacoli non viene fatta solo dalla direzione artistica. "Condividiamo con gli spettatori e le spettatrici la direzione artistica," spiega Calia. Il collettivo, composto da più di 30 persone, include una straordinaria varietà di profili: studenti universitari, pensionati, ingegneri, medici, professori.La diversità genera dibattiti appassionati. "Quando uno spettacolo vale la pena, si accendono anche delle discussioni belle, belle calde, quasi al limite della lite. È bello vedere persone che tifano per uno spettacolo teatrale, una cosa che ha del surreale." La paura di lasciare il controllo c'è sempre: "Chissà cosa verrà fuori quest'anno. Perché lasciare il controllo fa anche paura." Eppure, dopo sette anni, le programmazioni si sono sempre rivelate "super interessanti, super variegate."Il collettivo porta con sé anche il concetto di responsabilità condivisa. "Prendersi una responsabilità è un concetto che nella nostra epoca risuona un po' come un peso," osserva Calia, "invece questa responsabilità noi cerchiamo di intenderla in senso positivo."All'apertura nel 2018, l'accoglienza fu tiepida. "Siamo stati accolti dal clima tipico torinese, con diffidenza, tipo 'guardiamo un po' questi chi sono e che cosa combinano'." Poi la pandemia costrinse alla chiusura per 15 mesi. Ma da questa crisi emerse un cambiamento: "Gli operatori culturali nella difficoltà sono stati costretti a mettersi insieme." Nacquero dialoghi e coprogettazioni che continuano ancora oggi."Abbiamo proprio avvertito un cambio di passo fra la Torino culturale del pre-pandemia e quello che succede da allora fino ad oggi. Ed è per me un passaggio molto positivo che Torino è riuscita a fare." Oggi Casa Fools è fortemente radicata a Vanchiglia, dimostrando che la cultura partecipativa può davvero trasformare non solo uno spazio, ma un'intera comunità.

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    10 mins
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