Protezione complementare e ReImmigrazione_ quando l’integrazione diventa un criterio giuridico
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Protezione complementare e ReImmigrazione: quando l’integrazione diventa un criterio giuridico Benvenuti a un nuovo episodio del podcast Integrazione o ReImmigrazione.
Io sono l’avvocato Fabio Loscerbo e in questa puntata voglio affrontare un tema centrale nel dibattito attuale sull’immigrazione: il rapporto tra protezione complementare e ReImmigrazione, alla luce delle più recenti decisioni dei tribunali italiani. Negli ultimi anni si è diffusa l’idea che la protezione complementare rappresenti una sorta di diritto automatico a rimanere in Italia, quasi una scorciatoia rispetto alle politiche di rimpatrio. Questa narrazione è sbagliata. Non lo dico per ideologia, ma perché non trova alcun fondamento nel diritto positivo né nella giurisprudenza più recente. La protezione complementare, oggi disciplinata dall’articolo 19 del Testo Unico Immigrazione, dopo le modifiche introdotte dal Decreto-legge 20 del 2023, non è una protezione “facile” né generalizzata. È una tutela residuale, che opera solo quando l’allontanamento dello straniero comporterebbe una violazione di obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, in particolare del diritto al rispetto della vita privata e familiare. Qui entra in gioco un punto fondamentale: la protezione non si basa su affermazioni astratte, ma su fatti concreti. I tribunali richiedono la prova di un radicamento reale sul territorio. Lavoro regolare, reddito lecito, stabilità abitativa, relazioni sociali, rispetto delle regole. In una parola: integrazione effettiva. Una recente decisione del Tribunale di Bologna lo chiarisce in modo molto netto. La protezione complementare viene riconosciuta non perché la persona sia semplicemente presente in Italia, ma perché ha dimostrato, in un tempo anche relativamente breve, di essersi inserita nel tessuto sociale ed economico del Paese, senza creare allarme sociale e senza violare le regole fondamentali della convivenza civile. Questo è un passaggio decisivo anche per comprendere il senso del paradigma Integrazione o ReImmigrazione. La protezione complementare non è alternativa alla ReImmigrazione. Al contrario, ne è la conferma giuridica. Funziona come un filtro. Chi si integra realmente resta. Chi non si integra, o chi viola sistematicamente le regole, esce dal sistema. La giurisprudenza è molto chiara anche su questo punto. Non esiste alcun obbligo per lo Stato di garantire benessere economico o condizioni di vita migliori a chi non ha costruito un percorso di integrazione. E non esiste un diritto assoluto a non essere rimpatriati. Ogni situazione deve essere valutata con un bilanciamento serio e concreto tra diritti individuali e interessi pubblici, come la sicurezza e l’ordine pubblico. In questa prospettiva, l’integrazione non è uno slogan politico né una formula vuota. È un criterio giuridico. È una responsabilità individuale. Ed è anche il presupposto che rende legittima la permanenza sul territorio nazionale. La ReImmigrazione, allora, non è una misura punitiva o ideologica. È la conseguenza fisiologica del mancato rispetto di quel patto implicito che lega diritti e doveri. Senza integrazione reale, non c’è protezione che tenga. E senza regole chiare, non può esistere alcun sistema credibile di gestione dell’immigrazione. Il diritto, quando viene applicato senza ipocrisie, dimostra di saper distinguere. Sa tutelare chi costruisce. Sa allontanare chi rifiuta le regole. Ed è esattamente su questa linea che si colloca il paradigma Integrazione o ReImmigrazione. Grazie per aver ascoltato questo episodio.
Io sono l’avvocato Fabio Loscerbo.
Ci risentiamo al prossimo episodio di Integrazione o ReImmigrazione.
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