INFERNO di Dante Canto XXXIII° Episodio 6 cover art

INFERNO di Dante Canto XXXIII° Episodio 6

INFERNO di Dante Canto XXXIII° Episodio 6

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Il canto trentatreesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nella seconda e nella terza zona del nono cerchio, nella ghiaccia del Cocito, dove sono puniti rispettivamente i traditori della patria e del partito e i traditori degli ospiti; siamo nel pomeriggio del 9 aprile 1300 (Sabato Santo).«La bocca sollevò dal fiero pastoquel peccator, forbendola a' capellidel capo ch'elli avea di retro guasto.Poi cominciò»Inizia così uno dei canti più famosi di tutto l'Inferno. Questo canto inizia quindi con la macabra figura di cannibalismo subito sottolineata dall'accenno alla bocca di Ugolino e dall'accenno al pasto fiero, cioè ferino, feroce. Egli solleva la bocca dal pasto feroce, pulendola coi capelli del capo che stava addentando, e comincia a parlare.Dice che parlerà del disperato dolor che solo a ripensarci gli stringe il cuore, per il solo scopo di fruttare infamia al traditore che egli rode, e così inizia a parlare e lagrimar Il racconto di Ugolino all'Inferno quindi inizia premettendo che il racconto verterà su come la morte mia fu cruda, così che Dante possa valutare poi se sia giusto o no che roda il capo di Ruggieri. La narrazione si avvia quindi "cinematograficamente", inquadrando la finestrella della Torre della Muda, che da Ugolino prese il nome di "Torre della fame", ed entrando nella stanza dei prigionieri, dove Ugolino guarda ormai la luna da molte notti. Una di queste ha un sogno che del futuro mi squarciò il velame e che è il preludio della vicenda: l'arcivescovo era a capo di una battuta di caccia sul Monte San Giuliano (il monte che copre Lucca alla vista dei pisani) cercando il lupo e i suoi lupicini (che simboleggiano Ugolino e i suoi figli e rappresentano qui delle prede, ma anche animali a loro volta pericolosi), con cagne magre, ammaestrate e fameliche (il popolo, smagrito dalla povertà) e guidano la battuta i Gualandi, i Sismondi e i Lanfranchi, importanti famiglie di Pisa; presto i lupi sono stanchi e i cani li raggiungono ferendoli ai fianchi coi denti aguzzi.Il giorno dopo Ugolino sente piangere i figli e li sente chiedere del pane: il racconto è interrotto da un rimprovero-sfogo di Ugolino che dice a Dante (ma anche al lettore) che è ben crudele se già non prova dolore per quello che stava per accadere: dopotutto, se non piange per questo, per cosa è solito piangere? Nell'ora in cui di solito veniva portato il cibo, però, egli sentì chiavar l'uscio (più che chiuder a chiave si intende "inchiodare", chiudere coi chiavelli) dell'orribile torre; in silenzio Ugolino guarda in viso i figli, e il suo sguardo doveva essere già pieno di disperato strazio perché Anselmuccio dice: "Tu guardi sì, padre! che hai?"; ma Ugolino non risponde nemmeno, incapace di parlare e di lacrimare. Passa un intero giorno e una notte e la mattina dopo un raggio di sole gli mostra come la sua disperazione e magrezza siano dipinte, come in uno specchio, sui volti dei figli e per il dolore Ugolino si morde le mani. Al che, credendo che lo facesse per la fame, si alzarono i figli e gli offrirono di mangiar piuttosto loro, di spogliare quelle carni che lui aveva fatto: si calmò poi per non rattristarli, e quel giorno ancora e l'altro rimasero muti. Di nuovo un'invettiva che segna una pausa e prepara al successivo capitolo della tragica narrazione: "Ahi dura terra, perché non t'apristi?"Al quarto giorno, Gaddo si gettò ai piedi di Ugolino, invocando aiuto, e così morì; e così vide cascare gli altri tre a uno a uno tra il quinto giorno e il sesto, dopo di che Ugolino già cieco, si mise a brancolare sopra ciascuno invocandoli con strazio; poi, più che 'l dolor, poté 'l digiuno. Allora Ugolino smette di parlare, storce gli occhi nel guardare Ruggieri e con violento odio riprende a mordere il teschio misero, coi denti forti come quelli dei cani: si chiude in questa maniera smaccatamente orrorifica il racconto in prima persona più lungo dell'Inferno.
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